Giuliano Granocchia è stato per molti anni un importante esponente della sinistra umbra: ha ricoperto l’incarico di assessore provinciale al Lavoro, Formazione Professionale e Istruzione nella Provincia di Perugia. In seguito è diventato imprenditore e dirigente del mondo delle imprese e del commercio. Dal 2020 è presidente regionale di Confesercenti Umbria, con l’obiettivo di rappresentare e tutelare le piccole imprese, i commercianti e i servizi in Umbria. UmbriaLeft lo ha intervistato.
Presidente, puoi raccontarci come si è evoluto il tuo percorso politico e personale?
Il mio percorso nasce nella sinistra umbra, dentro un’idea molto chiara: la politica come strumento per migliorare concretamente la vita delle persone, a partire dal lavoro, e dall’istruzione e dal welfare quali strumenti di redistribuzione della ricchezza. Valori che oggi sembrano novecenteschi ma che ritengo debbano ancora oggi essere la base di ogni paese. Si potrebbe dire w il novecentismo. L’esperienza da assessore provinciale mi ha segnato profondamente, perché mi ha messo ogni giorno a contatto con i problemi reali di lavoratori, giovani, imprese e territori. In quella pratica amministrativa ho sempre messo una visione complessiva ritenendo che fosse possibile tenere insieme, non tutto, ma molti di quei diversi bisogni. Credo che quando lanciammo il Primo Piano Provinciale del Lavoro (era il 2003) sperimentammo strumenti frutto di una visione di cui ancora oggi ci sarebbe bisogno. Peccato che in seguito questo vero e proprio modello sia stato abbandonato.
Come assessore al lavoro ho incontrato centinaia di imprese, dalle piccolissime alle grandi permettendomi di conoscere più a fondo questo mondo. Insieme a questo processo ad un certo punto ho maturato l’idea che un ciclo della mia vita fosse giunto a compimento, che avessi bisogno di altri percorsi avendo dato tutto in quello di amministratore ed è successo che forse per la prima volta nella storia di un amministratore questo si dimettesse senza chiede nulla in cambio, senza polemiche con il partito che tanto gli aveva dato, senza ragioni legate magari alla questione morale. Ma siccome l’impegno pubblico rimane nel mio DNA a fronte di una richiesta nel 2020 ho accettato il ruolo di Presidente di Confesercenti Umbria, che rappresento centinaia (circo 900) di piccole imprese: un ruolo che considero una forma diversa, ma non meno impegnativa, di responsabilità pubblica.
Qual è il tuo giudizio sull’azione del governo guidato da Giorgia Meloni?
Qui, intervistato come Presidente di Confesercenti, non posso che esprimere un giudizio articolato. Il governo Meloni ha ereditato una fase economica complessa, segnata da inflazione, tensioni internazionali e difficoltà strutturali che non nascono oggi.
Detto questo, credo che serva ancora maggiore attenzione verso il sistema delle piccole e medie imprese e del commercio di prossimità, che rappresentano una componente essenziale dell’economia italiana. Occorrerebbe rafforzare il dialogo con le rappresentanze e costruire politiche più strutturali e di lungo periodo, capaci di accompagnare davvero chi lavora e investe nei territori. Sul commercio credo serva riprendere un ragionamento sulla Legge nazionale rivedendo alcune regole che hanno si dinamicizzato in un primo momento il settore ma che oggi mostrano tutto il loro limite con l’eccesso di liberalizzazione. In queste ore leggiamo di una finanziaria che troppo guarda al Patto di stabilità europeo e troppo poco alle famiglie. Evidenzio un punto delicato per lavoratori ed imprese: il silenzio assenzo sul trasferimento del TFR verso i fondi pensione che rischia di essere un appesantimento finanziario per le imprese e un rischio di prospettiva per i lavoratori. Non è così che si costruisce la risposta alle pensioni dei prossimi anni.
Come valuti invece il governo della Regione Umbria?Ritieni che le politiche regionali stiano rispondendo ai bisogni reali di imprese, cittadini e lavoratori?
L’Umbria sta attraversando una fase complessa dal punto di vista economico. I dati sull’andamento del PIL regionale evidenziano una crescita più debole rispetto alla media nazionale, segnale di un sistema economico che fatica a recuperare pienamente competitività e dinamismo. È un quadro che richiede attenzione e una lettura condivisa, senza semplificazioni, ma soprattutto una grande visione riformista. Serve una profonda riforma endoregionale.
La Regione è chiamata a svolgere un ruolo di coordinamento e di accompagnamento, soprattutto nella programmazione dei fondi europei e nelle politiche di sostegno allo sviluppo locale. Le istituzioni regionali stanno operando in uno scenario difficile, che impone scelte complesse e un costante confronto con il mondo delle imprese, dei lavoratori e delle comunità locali. In questa fase è attivo il tavolo sulla riforma del commercio. Bene, è ciò che chiedevamo. E’ fondamentale continuare a rafforzare il dialogo tra Regione e parti sociali, riprendere le buone pratiche dei tavoli tripartiti (al di là del nome che gli si vuole dare), innovare politiche di sviluppo che individuino alcuni assi strategici sui quali concentrare risorse perché non è più vero che piccolo è bello, lo dicono i dati economici. Senza alcuni poli manifatturieri non c’è futuro industriale perché mancherebbero le capacità finanziarie per ricerca e sviluppo. Quindi se dovessi dare un consiglio darei quello del coraggio dell’innovazione anche se questo può comportare dissenso nell’immediato.
Tu provieni da una tradizione di sinistra, oggi rappresenti le piccole imprese. Cosa dovrebbe fare la sinistra oggi per tornare a parlare a questi mondi?
La sinistra deve smettere di considerare le piccole imprese come un corpo estraneo o, peggio, come un problema. Artigiani, commercianti, partite IVA sono lavoro, non rendita. La grande contraddizione capitale-lavoro non è mica con questi lo vediamo tutti i giorni. La concentrazione del capitale sta raggiungendo vette impensabili nella precedente fase economica di fronte alla quale la politica europea è assolutamente inesistente. Da questa constatazione deriva anche la sfiducia e il non voto. Purtroppo, spesso la sinistra si porta dietro letture da anni ’80. Molti dati statistici che leggo andrebbero letti nel dettaglio, aperti come durante una vivisezione e così compresi. Lo dico in un quotidiano come il vostro sapendo che risulterò impopolare: la rottamazione è un regalo agli evasori? No, perché non toglie un euro del dovuto al fisco. Invece sono un regalo all’evasione alcuni accordi che vengono fatti con le multinazionali.
Serve una sinistra che torni a occuparsi di economia reale, che difenda il lavoro in tutte le sue forme, che costruisca un’alleanza tra lavoratori dipendenti e autonomi. Solo così si può ricostruire un rapporto di fiducia con una parte fondamentale del Paese. Tornare a Gramsci ed il suo americanismo e fordismo.












