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Neanche i professori scioperano più

Me lo ricordo bene, c’è stato un tempo in cui i professori erano tra le categorie più combattive. Scioperavano, prendevano posizione, erano classe dirigente politica, culturale e sociale. Oggi, invece, neanche loro scioperano più. O, se lo fanno, è in modo stanco, rituale, quasi imbarazzato.

La scuola è diventata il simbolo di una società narcotizzata. Stipendi fermi da decenni, carichi burocratici crescenti, classi sovraffollate, precarietà cronica: tutto accettato con un’alzata di spalle. La protesta è stata sostituita dalla rassegnazione, dalla convinzione che “tanto non cambia niente”. Forse è questa la vera sconfitta.

Il professore, figura che dovrebbe incarnare il pensiero critico, oggi è spesso intrappolato in una macchina che premia l’obbedienza e punisce il dissenso. Scioperare costa, esporsi costa, e in cambio non arriva quasi nulla: né attenzione mediatica, né solidarietà sociale. Così si resta in silenzio, si compila un altro modulo, si manda avanti la giornata.

Se persino chi insegna rinuncia alla partecipazione attiva cosa possiamo aspettarci dagli studenti?

Per carità, conta molto la valutazione su chi indice una mobilitazione, sulle sue motivazioni e su quanto sia generalizzata. L’ultimo sciopero del 12 dicembre 2025 indetto dalla Cgil è stato uno sciopero generale, ma non generalizzato, poco sentito, organizzato malissimo, altamente autoreferenziale. 

Ma ciononostante è da tempo che i professori non scioperano più. Il problema è che questo ci sembra normale. La rinuncia sta diventando abitudine.

Gracchus